Metodo è una parola che appare poco
appropriata, più idonea allo studio di un processo prettamente scientifico e
non alla natura dell’apprendimento della letto-scrittura, che segue lo schema, possiamo dire, di un triangolo comprendente soggetto che insegna, soggetto che
impara e oggetto d’insegnamento, in cui l'oggetto riveste un ruolo fondamentale.
Seguendo
questo schema, possiamo concentrarci sui tre aspetti cruciali
dell’apprendimento; in primo luogo l’oggetto d’insegnamento, che in questo
contesto assume una notevole valenza, in quanto la scrittura e la lettura sono
per il bambino strumenti per conoscere il mondo attorno a sé, per acquisire
autonomia, per sentirsi un po’ partecipi del mondo degli adulti, per comunicare
senza chiedere il permesso. Come dimenticare un bambino che vede un’insegna e
ti dice “Guarda, te lo leggo io” oppure ti strappa di mano per la prima volta
il libro delle fiabe e dice “Ci provo io”, o ancora, scrive in totale autonomia
una breve lettera per Babbo Natale?
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Se,
nel passato e fino a poco tempo fa, si considerava questo oggetto di
apprendimento come una mera tecnica di trascrizione (fonema-grafema), un
semplice imparare a memoria delle corrispondenze, oggi si sa che
l’apprendimento delle letto-scrittura è molto di più, è una conoscenza
complessa e sulla quale i bambini si pongono delle domande non banali, che ne
dimostrano la natura di apprendimento concettuale e cognitivo. Il bambino si
chiede perché esistono gli spazi, che cosa rappresenta la scrittura, cosa sono
le parole e lo fa perché per lui il “metodo” (se vogliamo parlare di metodo)
per imparare è scoprire il senso dell’apprendimento; per questo oggi si
preferiscono situazioni autentiche in cui il bambino viva la lettura e la
scrittura, situazioni che non snaturino il fatto che questo apprendimento si
inserisce nelle pratiche sociali.
Tornando
al nostro triangolo didattico, parlando del soggetto che impara si può rilevare che, come per ogni altro insegnamento, è necessario partire dalle
conoscenze pregresse, che di norma vengono ignorate (quanti di noi hanno avuto
maestri che non si sono posti il problema di cosa la classe sapesse fare e si
sono limitati a farci trascrivere e ripetere infinite volte la lettera A, B, C,
D…); viene anche dimenticato che il bambino ha degli interessi personali e uno
stile cognitivo che lo caratterizza.
Il
soggetto che insegna, cioè noi, è il tema, a parer mio, più
dolente: spesso ci dimentichiamo che nell’insegnare mettiamo in gioco anche il
nostro rapporto con la scrittura e la lettura, riflettiamo poco sul significato
di scrivere,
abbiamo delle idee sul processo d’insegnamento e tendiamo ad applicare un
“metodo” che per noi ha senso, senza rifletterci abbastanza.
È
proprio sulla scelta del metodo che l’insegnante ha un potere straordinario ed
è per questo che dobbiamo conoscere i cosiddetti “metodi” per poterne valutare
pro e contro ed eventualmente scegliere, un po’ controcorrente, di non
limitarsi a un metodo, ma spaziare seguendo ciò che si ritiene più idoneo,
sempre con uno sguardo rivolto alla letteratura di riferimento.
L’analisi di approcci diversi ci dimostra che ogni scelta ha i suoi
limiti: un approccio dal basso rischia di essere ripetitivo, noioso,
eccessivamente meccanico, di non coinvolgere il bambino, di sottrargli
l’interesse per la stesura di testi o per la lettura di racconti. Ci sono bambini in prima elementare che sanno leggere solo lettera per lettera e non
comprendono il senso di quello che hanno letto: l'autostima e la voglia di leggere precipitano, perché il bambino è consapevole di non poterne capire il senso perché
perso tra centinaia di lettere.
L’approccio
globale, dall’alto, sembra essere più vicino agli interessi dei bambini, anche
perché s’inserisce in una cornice di ricerca del senso e del significato che un
apprendimento ha per il bambino; ha però i suoi contro in presenza di bambini con bisogni educativi speciali e potenzialmente dislessici. Ovvio che un metodo non deve escludere
l’altro: l’alfabetiere è utile al bambino e anche scrivere più volte una
lettera può contribuire a renderlo più sicuro.
Allora
perché limitarsi? Perché seguire il libro di lettura senza riflettere su cosa
interessa di più al bambino? Perché non lasciare la possibilità di scrivere
testi spontanei? Credo che la conclusione più importante sia di dimenticarsi della lettura come decifrazione, ma di
vederla come comprensione, ponendosi come obiettivi anche il confronto tra
testi diversi e l’anticipazione del senso del testo ancor prima della lettura.
Bisogna porsi tanti interrogativi su quello che è giusto o sbagliato nell’insegnamento
della letto-scrittura; su quale sia, allora, il modo
giusto per avvicinare i bambini a lettura e scrittura. Forse
la questione è proprio questa: dobbiamo essere insegnanti che si pongono delle
domande, perché altrimenti il nostro insegnare diventa sterile e primo di
senso, sia per i bambini che per noi.
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