Come far pedagogia nel XXI secolo

Oggi vorrei ospitare un articolo molto interessante che mi è stato proposto da un lettore del blog, Aldo Sammartino. L'ho letto e l'ho trovato molto interessante, ricco di riflessioni attuali.

Come far pedagogia nel XXI secolo
Formazione ed educazione di una generazione digitale

Con l'avvento dell'era digitale, le barriere architettoniche sono state abbattute da nuove e raffinate vie di comunicazione che con un semplice "click" creano un canale di contatto immediato o quasi. Tale assetto, trasversale ai più diversi momenti della vita dell'uomo, ha profondamente modificato anche il modo di relazionarsi gli uni con gli altri. La separazione che intercorre tra persone così fisicamente vicine tra di loro è stata massicciamente incentivata dalla tecnologia che, appunto con un semplice "click" sull'applicazione digitale relativa agli orari del pullman, evita, ad esempio, lo scambio di informazioni tra passeggeri in attesa alla fermata del bus, scambio di informazioni dal quale spesso traeva origine una chiacchierata che instaurava un certo grado di relazione, seppur marginale, tra due persone fino ad allora completamente sconosciute.
In un panorama così radicalmente cambiato, soprattutto a partire dall'ultimo decennio a questa parte, anche il modo di far pedagogia è profondamente mutato. Perché? Rispondere esaustivamente a tale quesito è quasi impossibile, proprio perché l'oggetto, che è attore protagonista del fare pedagogico, è in continuo mutamento. Il bambino, infatti, cambia così come avanzano le ere: oggi si parla di "nativi digitali", riferendosi ai bambini che, ancor prima di imparare a leggere e a scrivere, usano con maggior disinvoltura degli adulti apparecchiature digitali selezionando ciò che a loro più aggrada, grazie a rapporti di associazione di suoni e colori che vanno oltre il segno grafico delle parole. Osservando passivamente questo fenomeno, ci si limita a considerarlo come grandiosa vittoria di studi e ricerche dell'era tecnologica, ma andando ad analizzare più criticamente tale mutamento, possiamo scorgere quanto ciò abbia influito sulla formazione delle nostre generazioni, sempre più spesso popolate da soggetti spersonalizzati. L'uso massiccio, non controllato di apparecchiature tecnologiche (computer, smartphone, tablet) ha infatti concorso ad una progressiva spersonalizzazione degli utenti non vigilati, che, in parte progressivamente, in altra parte totalmente, hanno perso contatti con il mondo esterno al digitale, se non per pochissime ore al giorno, quelle trascorse a scuola, nel caso di bambini ed adolescenti. I sentimenti stessi sono stati sottoposti al fenomeno della digitalizzazione: sempre crescenti sono le relazioni, di amicizia o d'incontri occasionali, che nascono in rete e che spesso in internet terminano. Cambia contemporaneamente lo stesso linguaggio di bambini e adolescenti, che comunicano tramite emoticon o per mezzo della successione di segni d'interpunzione o, in generale, grafici, la cui combinazione veicola un preciso stato d'animo.
Come educare, dunque, questi prodotti umani oggetti di una tecnologia che ha preso il sopravvento sulla loro coscienza? Un compito fondamentale è quello assegnato alla Scuola, essa stessa resa più attrattiva per mezzo della rivoluzione digitale cui è stata sottoposta (registro elettronico, LIM, e-book). La Scuola, infatti, ha cambiato direzione, proponendosi non più come tradizionale erogatrice di nozioni, ma come guida critica e intelligente al sapere, cui inizia gli studenti che - secondo il progetto educativo dell'istituzione scolastica - ad un certo punto della loro maturazione, lo coltivano e se ne servono autonomamente, secondo le proprie e specifiche esigenze. La Scuola, d'altro canto, si assume un altro compito, ben più delicato dell'insegnare ad imparare, che è quello di formare i cittadini del domani, cioè persone civilmente consapevoli del proprio ruolo nella società. La Scuola, inoltre, sempre più spesso sopperisce alle mancanze, anche affettive, da parte delle famiglie: anche l'istituto stesso della famiglia è col tempo cambiato. Più frequenti sono le famiglie che vantano della presenza di un unico genitore attorno a cui ruota la responsabilità di crescere e formare il proprio figlio, non solo perché più frequenti sono i casi di coniugi separati, ma, soprattutto, anche perché ci sono famiglie che, pur essendo formalmente composte da due genitori, di fatto vedono solo uno dei due genitori svolgere attivamente il proprio compito. Crescere un figlio, infatti, non significa solo provvedere economicamente a lui, ma comporta con sé tutta una serie di responsabilità che il genitore, nel momento in cui autonomamente decide di procreare, si assume improrogabilmente. Quella della Scuola e della famiglia dovrebbe essere un'azione sinergica il cui fine ultimo è il successo formativo del soggetto.
Certamente la famiglia vede oggigiorno nel genitore/tutore la figura che sempre meno consapevolmente svolge il proprio ruolo. Questo è dovuto al divario generazionale, che, con l'avvento dell'era tecnologica, è evidentemente più differenziato, sì da creare un discrimine più marcato tra la generazione dei padri e delle madri e quella dei figli. Bambini sempre più disubbidienti e adolescenti sempre più irascibili, separati dai genitori da un muro eretto di incomprensioni e ostilità  nei confronti del dialogo. Proprio sul dialogo bisognerebbe puntare: lavorare a più livelli  sul dialogo gioverebbe alla relazione genitori-figli.  Operare su soggetti che attraversano un'età così complessa, qual è l'adolescenza, oggi più critica di prima, presuppone una matura consapevolezza del proprio compito di educatore di cui, purtroppo, non tutti i genitori e i formatori sono provvisti. Bisogna, quindi, mettersi in gioco, a tutte le età e in tutti i ruoli: ciascun bambino e ciascun adolescente ha le proprie singole e differenziate problematiche, dalla disattenzione e/o disinteresse nei confronti della scuola ai problemi di cuore e, più spesso, relativi alla relazione con i propri coetanei. Vanno aiutati a superare tali problemi: è trapassata l'epoca della severità a senso unico da parte dell'educatore, che aveva come mezzi dell'agire pedagogico punizioni e ramanzine. Tutto, o quasi, rientra oggi invece nel dialogo, nel trovare un punto d'incontro comunicativo attraverso cui scambiare pacificamente opinioni ed indirizzare il soggetto nella direzione a lui più gioviale. Lasciarli sbagliare è spesso inevitabile: la sperimentazione dell'errore è fruttuosa per far tesoro delle proprie esperienze e conduce il soggetto alla consapevolezza di ciò che è giusto e ciò che giusto non lo è o lo è meno. L'apparente indifferenza degli adolescenti di fronte a questioni familiari o a loro relative è sintomo di un "impoverimento spirituale" che inconsciamente e, talvolta, inconsapevolmente li affligge; è sintomo di una sofferenza che si abbatte in questa generazione e che sfocia in un innalzamento dei casi di depressione adolescenziale, cui psicologi e pedagogisti devono far fronte frequentemente.
Questa è la sfida che la pedagogia del XXI secolo si trova ad affrontare ed è per questo motivo che si  pone come obiettivo quello di crescere insieme ai ragazzi, portarli al successo formativo, un successo che vada al di là del profitto scolastico, ma che sia successo in tutti i campi della vita. 

L'autore dell'articolo
Aldo Sammartino è cresciuto ed ha studiato a Napoli, dove si è laureato in Lettere classiche presso L'Orientale. Accanto agli studi relativi alle discipline filologiche e letterarie, coltiva interessi per la formazione e la pedagogia. 
Per contattare l'autore: aldosammartino94@libero.it.

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